Insieme alla 2017 è senza dubbio l’annata più estrema dal punto di vista climatico tra quelle prese in considerazione e – come vedremo – anche quella che più di ogni altra ha marcato i vini con il suo inconfondibile timbro. Una piovosità totale ridotta ai minimi termini e tre mesi consecutivi – giugno, luglio e agosto – segnati da temperature tropicali hanno messo a dura prova non soltanto la vite ma anche i viticoltori stessi, che dopo questa annata hanno iniziato in molti casi a mettere in discussione i propri convincimenti agronomici. Reduci infatti da un’annata difficile come la 2002, salvata spesso da interventi massicci di sfogliatura, nel 2003 molti produttori hanno ripetuto la stessa pratica senza tuttavia poter immaginare che il decorso stagionale sarebbe stato l’esatto opposto del precedente. Risultato: molti grappoli rimasero letteralmente bruciati dal sole e la gradazione zuccherina, salita alle stelle, non portò con sé un’adeguata maturazione dei tannini. Da qui lo stile particolarissimo dei vini, i vistosi squilibri di gioventù e la presa di coscienza da parte dei produttori di come ogni annata richieda un approccio viticolo specifico e mirato. Uniche sporadiche eccezioni, quei pochi vignaioli che già nel 1997 e nel 2000 era incappati in questo inconveniente e ne avevano quindi già fatto tesoro.

I vini. Surmaturi e scontrosi in gioventù, i Barolo 2003 da alcuni anni a questa parte sembrano essersi spogliati in molti casi dei loro eccessi per trovare una forma espressiva più equilibrata, completa e profonda. Il tutto senza rinunciare al timbro inequivocabile dell’annata e senza compromettere la tenuta nel tempo. Una svolta quindi positiva quanto inattesa, che ancora una volta conferma una delle grandi doti del nebbiolo, che è poi quella di sapersi esprimere con personalità e originalità anche nelle annate più complicate.